
L’uomo che mi sta di fronte è un caporale. Arrivato dalle campagne del Senegal 10 anni fa via Libia con un barcone, oggi Gibril – nome di fantasia – è regolare. Assunto da una azienda agricola del Tavoliere di Puglia, nelle campagne del foggiano alle spalle di Borgo Mezzanone, ogni mattina procura una ventina di lavoratori che porta con un furgoncino dai ghetti sparsi sul luogo di lavoro e viene pagato 5 euro da ciascun bracciante, il 10% della paga giornaliera. L’agricoltore, chiamiamolo Vittorio, ha passato la sua lunga vita nei campi nella sua azienda di una quarantina di ettari che rifornisce grandi marchi dell’ortofrutticolo con regolari contratti. Paga regolarmente la ventina di stagionali rispettando gli orari e i quattro operai assunti, uno ad esempio solo per controllare l’irrigazione perché per trovare l’acqua dopo anni di siccità bisogna andare in profondità, dove è salmastra. Ha aderito a No Cap – iniziativa di sostegno ai braccianti e di contrasto allo sfruttamento nel settore agricolo, offrendo una catena di approvvigionamento etica – e paga con bonifici.
«Però per me Gibril è un caposquadra, non un caporale». E spiega: «Non posso permettermi di perdere giornate di lavoro dietro ai permessi, se sbagli paghe multe salate. Lui trasporta qui lavoratori in regola, stagionali o saltuari. Servono intermediari per trovarli e intenderci. Io non parlo la loro lingua e loro non parlano italiano. Nessuno viene sfruttato qui, ma se ci fosse un servizio di trasporto pubblico e un’accoglienza diffusa legale anziché i ghetti, lo sfruttamento diminuirebbe».
Un sistema che la buona legge 199 del 2016 sul caporalato non ha cambiato. Restano diverse zone grigie. E tiene in piedi l’agricoltura italiana. Se si considera l’intera filiera agroalimentare, quindi l’industria di trasformazione, la logistica, il commercio e i servizi, il settore incide sul Pil oltre il 3% ufficiale, il peso arriverebbe al 15%. La Puglia produce prodotti agricoli per 6 miliardi. Di questi, il Tavoliere ne produce la metà: tre miliardi. E qui, a 11 chilometri da Foggia, c’è la Pista, una delle basi più grandi da cui partono i lavoratori che tengono in piedi il sistema. A Borgo Mezzanone, accanto all’ex Cara su una vecchia pista dell’aeronautica militare, ex deposito di munizioni della Nato, è sorta da anni una baraccopoli tra le più grandi in Europa, che ospita tra 3.000 e 4.000 persone all’anno, prive di acqua, ammassate in baracche soffocanti. «Il 90% – spiega l’avvocato Claudio De Martino, volontario per Avvocato di Strada nella Pista – ha problemi di regolarità. A molti hanno respinto le domande di asilo. Altri, invece, sono arrivati regolarmente in Italia con il decreto Flussi, ma, come è successo anche altrove, sono stati truffati. Gli intermediari a cui hanno versato i soldi per venire in Italia sono spariti, come le aziende che li dovevano assumere, e sono rimasti da irregolari senza averne colpa».
«La Pista è un posto dove le condizioni di vita sono indecenti, neanche gli animali vivono così – sbotta padre Samuel, viceparroco della parrocchia di Santa Maria del Grano a Borgo Mezzanone, frazione di Manfredonia distante 30 km dal comune e costruita ai tempi delle bonifiche fasciste negli anni ‘30 – noi entriamo con i volontari. Provengono da paesi africani come Burkina Faso, Mali, Senegal, Nigeria, Ghana e Zambia. Le donne si nascondono per la vergogna». In parrocchia, la Caritas ha aperto un ambulatorio, le docce, una scuola di italiano e una di cucina dove le donne di Borgo insegnano a cucinare pizza e orecchiette agli ospiti della baraccopoli. Imma Roggia parla con orgoglio del Borgo e della lotta quotidiana per ottenere i servizi. «Molte famiglie hanno acquistato casa anni fa perché avevano promesso che sarebbero arrivati i servizi. Invece, da Foggia sono arrivate famiglie sfrattate con parecchi problemi, e poi i rom romeni e bulgari. Ma non ci siamo divisi, siamo una comunità inclusiva. I nostri figli vanno a scuola insieme e insieme affrontiamo i problemi».
Dovrebbero arrivare 53 milioni del Pnrr destinati al comune di Manfredonia per smantellare la Pista. Tuttavia, secondo il sindaco Domenico La Marca, assistente sociale, il progetto va rivisto. «I fondi – spiega – rappresentavano un’opportunità per il superamento degli insediamenti abusivi. Quando sono stato eletto nel 2024, il prefetto mi ha chiesto di firmare per riuscire a chiudere in prossimità della scadenza, nel marzo 2026. Purtroppo abbiamo riscontrato, con la sindaca di Foggia Episcopo, che il governo – dopo oltre un anno di assenza – ci chiedeva di firmare quasi in bianco. Dunque abbiamo avviato un confronto tra i nostri comuni, la prefettura e la Regione Puglia».
Cosa non l’ha convinta? «La prima criticità era creare case senza fare integrazione dentro la borgata di Mezzanone e in altre borgate. Poi bisogna vedere chi ha i permessi di soggiorno e chi no. Abbiamo chiesto quindi di avviare percorsi di integrazione e di fare una sanatoria nella Pista, ma non abbiamo ricevuto risposte dal governo. Abbiamo quindi rivisto il progetto, cercando di creare un primo centro di case dove accogliere le persone che vogliono uscire dal ghetto, per poi distribuirle in borghi creati nelle altre borgate, facendo quindi accoglienza diffusa. Aspettiamo risposte. Per noi occorre garantire alle case l’autonomia energetica e, in secondo luogo, dare accesso alla formazione professionale e alla scuola d’italiano su tutto il territorio, e passare poi all’accoglienza diffusa. La Regione è disposta a mettere altri fondi». Come diceva don Tonino Bello: Non basta dare il letto, se poi non sai dare la buonanotte.