
L’immigrazione continua a rappresentare un fattore chiave per contrastare il calo demografico e sostenere il mercato del lavoro in Italia. Così il vice capo del Dipartimento economia e statistica della Banca d’Italia, Andrea Brandolini, lo scorso 15 aprile nell’audizione convocata dalla Commissione parlamentare di inchiesta sugli effetti economici e sociali derivanti dalla transizione demografica in atto.
Dopo aver trainato la crescita della popolazione fino al 2014, i flussi migratori sono tornati a crescere nel periodo post-pandemico, spinti dalla regolarizzazione degli immigrati irregolari e dall’arrivo di rifugiati ucraini. Al 1° gennaio 2024, in Italia risiedono 5,2 milioni di cittadini stranieri e 6,7 milioni di persone nate all’estero. Gli stranieri costituiscono oggi il 10,5% degli occupati, ma sono concentrati nei settori meno qualificati e peggio retribuiti. Il contributo migratorio sarà essenziale anche nei prossimi anni: secondo l’Istat, da qui al 2050 l’immigrazione netta sarà di circa 5 milioni di persone nello scenario mediano
Recenti riforme hanno ampliato i canali legali di ingresso, ma l’efficacia dipenderà dalla capacità di attuazione e semplificazione amministrativa. Per Bankitalia, sarebbero necessarie politiche che garantiscano flussi migratori regolari che incontrino le necessità delle imprese e assicurino un’integrazione completa per chi arriva nel Paese. In particolare, è stato sottolineato come, nel contesto normativo attuale permangono spazi per migliorare significativamente l’attrattività dell’Italia. Interventi che, oltre alla formazione linguistica, favoriscano il riconoscimento delle qualifiche professionali ottenute all’estero, permetterebbero di massimizzare i benefici a lungo termine dell’immigrazione meno qualificata, come dimostrato dall’evidenza internazionale. Secondo l’indagine europea sulle forze di lavoro, nel 2021 il 51,1 per cento degli immigrati in Italia non conosceva la lingua italiana prima di trasferirsi nel nostro Paese, quasi cinque punti percentuali in più della corrispondente media per Francia, Germania, Paesi Bassi e Spagna; meno di un immigrato ogni cinque partecipava in Italia a corsi di lingua, rispetto a più di uno ogni quattro negli altri principali paesi dell’area dell’euro.